“E’ tardi, è tardi, è tardi…”, quasi tutte le nostre giornate iniziano così. E come è buffo il mio Furbetto quando con aria preoccupata guarda l’orologio che le maestre hanno appeso sulla porta di ingresso e mi chiede: “Mamma, è tardi?” ed io a rassicurarlo: “No tranquillo amore, oggi siamo stati bravissimi, siamo in orario!”.
Dovete sapere che qualche settimana fa, poiché eravamo in ritardo di ben 10 minuti, è rimasto scioccato dall’aver trovato la porta d’ingresso chiusa. Lo ammetto, mi sono arrabbiata un po’ troppo con quella frase accusatoria: “Ecco, hai visto? Mi hai fatto fare tardi e hanno chiuso la porta. E se adesso non ci aprono?”. Cosa che sapevo non sarebbe assolutamente successa, semplicemente ci avrebbero fatti entrare da un altro ingresso e sarebbero uscite le maestre dall’aula per venirlo a prendere, anziché accompagnarlo io fino alla porta.

Questo episodio mi ha riportato alla mente quello che per me, fino all’adolescenza, è stato soltanto un film di animazione della Walt Disney: Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie. Ricordo benissimo che nel periodo natalizio c’erano delle vere e proprie maratone di film d’animazione e mio padre, pronto con registratore e videocassette, si assicurava una collezione completa che potessi riguardare a piacimento durante tutti i periodi dell’anno.
Se la memoria non mi inganna, sulla videocassetta di Alice era stato registrato anche Dumbo Jumbo e tutte le volte che la prendevo, da un lato desideravo guardarla, dall’altro la consideravo l’accoppiata di cartoni più brutta: Dumbo troppo triste e Alice troppo noioso, con tutte le sue stramberie che facevano perdere il filo logico e, inevitabilmente, mi portavano a vagare fra i miei pensieri.
Immaginate un po’ la sorpresa quando, a distanza di anni, ho scoperto che si trattava di un romanzo e per di più scritto dal matematico Charles Lutwidge Dodgson, più conosciuto con lo pseudonimo Lewis Carroll (l’avevo già citato parlando del Tangram, ricordate?). Mi si è aperto un mondo e ho capito che non si trattava semplicemente di una storia per bambini ma di un libro sottile, arguto, che dietro intrecci paradossali, giochi di parole e celati riferimenti matematici, nascondeva profondi insegnamenti. Probabilmente questo spiega perché, a suo tempo, avessi avuto un rapporto così conflittuale con quel cartone animato: se non mi piaceva, è perché non riuscivo a capirlo!
Io, mamma Bianconiglio

La complessità del romanzo di Carroll ha portato molti studiosi ad una sua analisi approfondita, dando luogo ad una serie di interpretazioni sul vero significato di Alice nel Paese delle Meraviglie. In particolar modo sono stati identificati significati in ambito psicologico, basati soprattutto sul rapporto adulto/bambino e sulla lotta contro il tempo, dove razionalità e immaginazione si scontrano nel cammino verso l’età adulta.
Ho aperto questo post parlandovi di Furbetto che guarda l’orologio e mi chiede se è tardi, con quei suoi occhioni sconcertati che tradiscono benissimo la serietà della domanda. In quel momento mi sono sentita come il Bianconiglio, inafferrabile ed intenta a correre qua e là, apparentemente senza motivo. Non a caso gli studiosi ritengono che questo personaggio rappresenti simbolicamente noi genitori, sempre di fretta, perennemente stressati, a tal punto da trasferire l’ansia sui nostri figli. Non abbiamo il tempo di ascoltarli e ci stupiamo se non riusciamo a capirli!
Imparare a crescere: che fatica!
Un altro tema che ci porta ad approfondire la storia di Alice riguarda la difficoltà di imparare a crescere. In diverse occasioni, Alice si ritrova a dover fronteggiare situazioni in cui ingrandisce o rimpicciolisce (una sorta di analogia con gli alti e bassi della vita) e a dover prendere decisioni senza farsi travolgere dagli eventi, imparando a gestire al meglio i vari imprevisti.
Imparare a crescere significa anche imparare a conoscere ciò che si vuole, a seguire i propri sogni, le proprie inclinazioni, la propria curiosità. Il primo atto di curiosità, i nostri figli lo compiono imitando noi genitori, scoprono il mondo attraverso di noi che siamo per loro esempio e guida. Ma inevitabilmente, ad un certo punto, si allontaneranno e si lanceranno all’inseguimento dei propri sogni e della propria personale avventura.
“Mi diresti, per favore, da che parte dovrei andare da qui?”.
“Dipende molto da dove vuoi arrivare”, dice il Gatto.
“Non mi interessa molto dove”, dice Alice.
“Allora non importa in che direzione vai”, dice il Gatto.
Solo in questo modo saranno in grado di costruire la propria identità. Molti sono i personaggi che nel corso della narrazione pongono Alice nella condizione di rispondere a domande profonde come chi sia, cosa fa e da dove venga. Io ancora oggi non so rispondere, per questo tutte le volte che rileggo la mia presentazione su MammaConta, dico che dovrei modificarla! 😉
La verità è che non è semplice spiegare e spiegarsi, dire chiaramente ciò che si intende. E’ più semplice usare giri di parole, nel tentativo di disorientare l’interlocutore oppure dire mezze verità, per paura di essere giudicati. Eppure è proprio questo l’elemento separatore tra gli esseri umani, tra genitori e figli, tra moglie e marito, tra colleghi di lavoro. Essere diretti e dire chiaramente ciò che si vuole, ci farebbe guadagnare quel tempo che sembra sempre sfuggirci ed è tanto caro al Bianconiglio che è in noi!
“Allora, quando parli, dovresti dire ciò che intendi dire, soggiunse il Leprotto Marzolino”.
“Certo replicò prontamente Alice; perlomeno – perlomeno io intendo dire proprio ciò che dico – che è poi la stessa cosa, no?”.
“No che non è la stessa cosa! esclamò il Cappellaio. A questa stregua, potresti sostenere che “Vedo ciò che mangio” sia la stessa cosa di “Mangio ciò che vedo!””.
“A questa stregua aggiunse il Leprotto Marzolino, potresti sostenere che “Mi piace quello che prendo” sia la stessa cosa di “Prendo quello che mi piace!””.
La paura di essere giudicati, purtroppo, è una delle più grandi fonti di frustrazione, già a partire dalla tenerissima età ma, come dice il Gatto, siamo tutti matti! Ognuno di noi, infatti, ha delle peculiarità che altri possono pensare essere “fuori dal normale“, ma dobbiamo imparare ad accettarle, perché sono quelle che ci rendono unici.
“Ma io non voglio andare fra i matti”, osservò alice. “Beh, non hai altra scelta”, disse il Gatto, “Qui siamo tutti matti. Io sono matto. Tu sei matta.”
“Come lo sai che sono matta?”, disse Alice. “Per forza”, disse il Gatto: “altrimenti non saresti venuta qui”.
D’altra parte, giudicare gli altri “strani” perché non sono “normali” ha poco senso se ricordiamo di porci questa domanda: “Normale rispetto a cosa?”. Alice ci insegna che normale è un termine relativo e quella che oggi è la nostra realtà, può non esserlo per gli altri e potrebbe non esserlo per noi domani!
La matematica nascosta

Se gli insegnamenti di vita celati in “Alice nel paese delle meraviglie” vi sembrano già un buon motivo per leggere il romanzo, farlo leggere ai vostri figli più grandi ed iniziare a farlo assaporare ai più piccoli attraverso il film di animazione Disney, resterete ancor più soddisfatti sapendo quanto della matematica tanto amata da Carroll ci sia in questo capolavoro senza tempo.
Moltiplicazioni
Nel secondo capitolo, Alice cerca di capire chi sia, se è cambiata rispetto a poche ore prima, interrogandosi sulle cose che generalmente conosce.
“Dunque: quattro per cinque fa dodici,e quattro per sei fa tredici e quattro per sette fa….Oh, povera me! Non arriverò mai a venti di questo passo!”.
In questo esempio, Carroll fa sfoggio della sua conoscenza matematica attraverso giochi numerici per nulla casuali. I risultati delle moltiplicazioni della povera Alice sono esatti purché non in base 10 come siamo soliti fare. Infatti 4*5 fa davvero 12, ragionando in base 18; così come 4*6 è veramente uguale a 13 se calcolato in base 21.
Secondo questa interpretazione, se volessimo continuare a moltiplicare il 4 per numeri sempre crescenti otterremmo:
- 4*7=14 in base 24
- 4*8=15 in base 27
- 4*9= 16 in base 30
- 4*10=17 in base 33
- 4*11=18 in base 36
- 4*12=19 in base 39
Ma come ci dice Alice, continuando di questo passo, non arriverà mai a 20. Infatti 4*13=52 in base 10, ma purtroppo 52 non è 20 in base 42!
I numeri negativi
Nell’epoca in cui visse Carroll, la matematica fino ad allora conosciuta stava subendo innumerevoli cambiamenti. Uno fra tutti fu quello dell’introduzione nelle scuole dei numeri negativi. Cominciarono infatti ad essere pubblicate le prime trattazioni complete e ineccepibili sui numeri relativi, fino ad allora visti con grande sospetto. A quei tempi si trattava di una vera e propria rivoluzione, difficile da accettare soprattutto perché le prime definizioni sembravano prive del tipico rigore matematico (i numeri negativi venivano definiti come quantità minori di niente oppure quantità ottenute sottraendo un numero maggiore da uno minore).
Carroll, matematico rigoroso, appassionato di logica, formatosi su Euclide che allora era sinonimo di “pensare in maniera corretta”, manifestò in Alice nel paese delle meraviglie tutte le sue perplessità:
Dal Cap. 7:
“Prendi un po’ più di tè!” intervenne la Lepre, terribilmente seria.
“Non mi avete ancora offerto niente,” replicò Alice in tono offeso “perciò non posso prendere un po’ più di tè, né di qualunque altra cosa”.
“Vorrai dire che non puoi prenderne di meno” si intromise il Cappellaio. “Più di niente è sempre possibile, e non è affatto difficile”.
Dal Cap. 9:
“Sai fare l’addizione?” domandò la Regina Bianca. “Quanto fa uno e uno e uno e uno e uno e uno e uno e uno e uno e uno?”
“Non lo so” disse Alice, “ho perduto il conto”.
“Non sa fare il conto” interruppe la Regina Rossa. “Sai fare la sottrazione? Togli nove da otto”.
“Nove da otto non si può, sapete,” rispose Alice pronta,”ma…”.
“Non sa fare la sottrazione,” disse la Regina Rossa.
I sillogismi
Il sillogismo è un tipo di ragionamento dimostrativo che fu teorizzato per la prima volta da Aristotele, in base al quale da due giudizi, detti premesse, si ottiene un altro giudizio, detto conclusione.
A=B, B=C allora A=C
Nel racconto di Carroll, tutti i personaggi parlano per sillogismi e possiamo trovarne due esempi molto esplicativi nel Cap. 5
“Serpente!” strillò il piccione.
“Ma io non sono un serpente!” disse indignata Alice. “Lasciami in pace!
[…]
“Ebbene? Cosa sei tu?” disse il piccione. “Vedo bene che stai cercando di inventare qualcosa.
“Io…io sono una ragazzina,” disse Alice.
“Una storia davvero credibile!” disse il piccione in tono sprezzante. “Ho visto un bel po’ di ragazzine ai miei tempi, ma mai nessuna con un collo del genere! no, no! Tu sei un serpente, ed è inutile negarlo”.
Sillogismo:
Nessuna ragazzina ha un collo così lungo.
Tu hai un collo lungo.
=> Dunque tu non sei una ragazzina
“Scommetto che adesso mi dirai di non aver mai mangiato un uovo!”.
“Ho assaggiato delle uova, certo,” disse Alice, che era una bambina molto sincera, “ma le ragazzine mangiano le uova, proprio come i serpenti, sai”.
“Non ci credo,” disse il Piccione, “ma se lo fanno, allora sono una specie di serpenti, devo per forza concludere!”.
Sillogismo:
Tutti i serpenti mangiano le uova.
Tu mangi le uova.
=> Tu sei un serpente.
Falsi sillogismi
Ovviamente, il precedente sillogismo è scorretto dal punto di vista formale: non è detto, infatti, che solo la famiglia dei serpenti mangi le uova! La sua forma corretta dovrebbe essere:
Tutti i serpenti mangiano le uova.
Tu sei un serpente.
=> Tu mangi le uova.
Cosa cambia tra le due forme? Ho semplicemente invertito la seconda con la terza proposizione ma, in un sillogismo, questo equivale a scambiare una premessa con una conclusione che non è affatto una cosa banale! Carroll voleva dunque prendersi gioco dei suoi lettori? Tutt’altro! Egli sperava che il diffondersi delle abilità logiche, insegnando alla gente ad individuare i ragionamenti fallaci, facesse chiudere giornali e sciogliere partiti politici! Chi dunque più attuale di lui? 😉
Per chi volesse dilettarsi ancora con i sillogismi ecco un piccolo regalo che ho trovato in rete:
Che dire ancora? Spero che presto tutti riserviate un angolino della libreria per questo romanzo senza tempo, da leggere e rileggere negli anni, con occhi e consapevolezze sempre nuove.
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Per quanto riguarda il ritardo, però, ho da dire la mia, essendo affetta da ritardite cronica. Una teoria sostiene che i ritardatari sono degli inguaribili ottimisti…sperano sempre di farcela a fare tutto! Ad esempio, se la mattina sono pronta cinque minuti prima, non penso che posso partire prima, ma che ho anche il tempo di scaricare la lavastoviglie o altro…Il risultato, inevitabilmente, è che arrivo in ritardo! Tutto è relativo!!!