Cosa significa essere bravi in matematica? In generale diffiderei da chi, a questa domanda, fornisce una risposta univoca.
In particolare eviterei di dare ascolto a chi afferma che per essere bravi in matematica bisogna essere veloci. La matematica non è una questione di velocità.
Non so se sia capitato anche a voi, per esperienza diretta oppure con i vostri figli, le gare di tabelline sembrano essere un must, prima o poi toccano a tutti.
Io le ricordo ancora oggi con una punta di dispiacere. Non sono mai stata estremamente veloce nel calcolo mentale e quelle gare non le vincevo quasi mai.
Quindi mi sarei aspettata di dover trattare l’argomento matematica e gestione del tempo sotto forma di: “Furbetto e le tabelline“.
Potete invece immaginare la sorpresa quando, tornando a casa, mi ha raccontato questo aneddoto avvenuto a scuola:
“Sai mamma oggi abbiamo fatto una gara con il cronometro. Dovevamo dire i numeri da 20 a 0 velocissimi. Io li ho detti in 10 secondi ma ho perso!”
La mia reazione: “Ma quindi non era una gara di matematica, era una gara di scioglilingua…”.
Essere bravi in matematica significa essere veloci?
Molti insegnanti tendono a far credere ai propri alunni che per essere bravi in matematica bisogna essere veloci, sia nei calcoli che nella risoluzione dei problemi.
Questa è una visione estremamente riduttiva e distorta che non dà sufficiente spazio ai processi tipici della matematica.
L’attività di problem solving comporta la comprensione, l’esplorazione, la formulazione e l’argomentazione di congetture, la continua attivazione di processi di controllo.
Tutto questo richiede tempo!
I bambini invece si ritrovano spesso ad avere a che fare con una didattica della matematica in cui la lentezza è qualcosa da evitare. La risposta deve essere corretta e data velocemente.
Quindi lo studente “lento” finisce col ritenersi negato, pensa di non essere portato oppure, ancora peggio, di non essere abbastanza intelligente.
A tal proposito vi riporto il quesito che uno studente di scuola superiore ha scritto qualche anno fa a Cathy O’Neil, autrice del sito Math Babe.
Ciao Cathy,
ti ho incontrato la scorsa estate, probabilmente tu non ti ricordi di me. Avrei una domanda.
Conosco un sacco di persone che ne sanno molto più di me di matematica e trovano le soluzioni dei problemi più velocemente di me.
Ogni volta che arrivo con una soluzione di un problema di cui sono davvero orgoglioso e per la quale ho lavorato davvero sodo, loro cominciano a dire di aver già visto quel problema e mi dicono tutte le cose che sanno su quel problema.
Come faccio a sapere se sono abbastanza bravo per fare la matematica? Grazie. Uno studente di scuola superiore.
Leggete la risposta sul sito MaddMath. È un invito, per tutti gli studenti scoraggiati, a non smettere di sognare solo causa di una falsa definizione dell’ “essere bravi in matematica”.
Matematica e velocità
In una realtà di vita quotidiana dove “presto” è sempre troppo tardi e la rapidità di esecuzione è diventata la misura del successo, anche la scuola richiede menti più veloci, bambini più veloci.
Il messaggio implicito è che per dimostrare di aver capito, bisogna rispondere rapidamente. Una sorta di segnale di automatizzazione della conoscenza.
E siccome i bambini si fidano degli adulti, nasce in loro la convinzione che per essere bravi in matematica “le cose debbano riuscire al volo”.





L’esempio riportato in figura fa riferimento ai numeri gemelli, secondo la terminologia adottata nel “Metodo Analogico” di Camillo Bortolato.
La spiegazione indica senza mezzi termini la necessità di imparare a memoria il risultato della loro somma, con il fine di velocizzare il calcolo mentale.
Non sto qui ad addentrarmi sulla scelta di una terminologia in contrasto con la definizione di numeri primi gemelli (analogo discorso vale per i numeri cugini).
L’importanza delle definizioni in matematica merita una riflessione più approfondita e sicuramente in contesti più appropriati rispetto a questo blog.
Il mio punto di vista di oggi è quello di una mamma che, masticando un po’ di matematica, si domanda quanto sia davvero utile tentare in tutti i modi di guidare i bambini verso calcoli mnemonici.
Secondo Anna Baccaglini-Frank:
“Se un bambino è pronto ad automatizzare il calcolo, lo fa anche senza sollecitazioni. E farlo in fretta, da gara, non significa farlo bene. Uno potrebbe aver imparato un trucchetto mnemonico, non la matematica che ci sta dietro”.
Riguardo al metodo Bortolato si è espressa in maniera piuttosto critica l’Associazione Italiana di Ricerca in Didattica della Matematica.
Potete leggere qui sotto una raccolta di articoli dove se ne discute:
Il metodo Bortolato e la fortuna di avere una buona stampa…
Come si insegna la matematica, è questione di logica o di pancia?
Come dobbiamo comportarci noi genitori?
Se sperate che abbia in mano la risposta devo deludervi, posso solo provare a spiegare quello che mi porta a fare il mio buon senso.
A differenza di molti genitori che tendono ad entrare in merito alle scelte didattiche degli insegnanti, io cerco di mantenere il mio ruolo, quello di mamma.
Come tale provo a sostenere mio figlio nel suo percorso di crescita che, inevitabilmente, passa attraverso errori, ostacoli e momenti di scoraggiamento legati all’ambito scolastico.




Nel suo libro “Mio figlio ha paura della matematica” Rosetta Zan invita i genitori ad un dialogo sereno, fondamentale per riconoscere eventuali emozioni negative sulle quali intervenire.




Allo stesso tempo, se desideriamo aiutarli nel concreto con la matematica, possiamo educarli alla gestione del tempo, spronarli a essere curiosi (in tutti i campi), a porre domande (senza stancarsi se sembrano ingenue).
Poniamo anche noi quesiti di diverso genere, chiediamo di argomentare le risposte, senza fornirne di preconfezionate. Questo sarà già di per sé un’ottima palestra per il ragionamento matematico.
Voglio concludere questo articolo con l’immagine di copertina.




Speedy Gonzales è veloce.
Speedy Gonzales è un matematico.
Cosa non torna?
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Me lo ricordo bene Speedy Gonzales…ecco, io sono l’esatto contrario! E mi fa piacere che il tuo post ponga l’accento sul tempo che occorre per risolvere esercizi e problemi e che sostenga che non bisogna focalizzarsi solo sulla velocità e correttezza di risposta. Io ad esempio nel calcolo mentale sono molto lenta, preferisco, se posso, scrivere le operazioni su un foglio. Inoltre ho notato, quando lavoravo come educatrice alla Primaria, che le tabelline venivano fatte imparare in modo diverso da come le avevano insegnate a me. Non più cioè l’intera moltiplicazione tipo 1 X 1 = 1, 1 X 2= 2… ma i bambini dovevano imparare in successione solo i risultati a memoria. Io avrei davvero dei problemi a memorizzarle in quel modo! In più, bisogna tenere conto che se da te si aspettano una risposta veloce, alcuni bambini (e mi ci metto anch’io!) potrebbero venire bloccati dall’ansia.
Scusa se rispondo solo ora, sono un pochino lenta. 😁
Effettivamente in molti hanno affrontato un percorso scolastico legato alla paura della matematica. Come giustamente scrivi, la richiesta di risposte corrette in tempi rapidi può alimentare un senso di ansia.
Fortunatamente la ricerca in ambito di didattica della matematica pone l’accento sulla necessità di proporre attività incentrate sulla risoluzione di problemi, intesi come situazioni in cui bisogna riflettere perché non si conosce a priori il metodo risolutivo. Questo approccio pone tutti sullo stesso piano e fa sì che si instauri un clima di dialogo e serena collaborazione sia tra gli alunni che con l’insegnante.